L’entrata in vigore della Brexit potrebbe rafforzare la posizione di Malta a livello internazionale: come già illustrato in un precedente articolo, l’arcipelago vanta infatti una posizione strategica in quanto membro sia dell’Unione Europea che del Commonwealth, l’associazione delle 54 ex colonie britanniche, oggi stati sovrani, che hanno conservato un rapporto economico e culturale con il Regno Unito.
Del resto è risaputo come Malta (unico caso tra i Paesi UE insieme a Cipro) anche dopo l’indipendenza sempre mantenutoottimi rapporti con il Regno Unito, sia per le affinità legislative e giuridiche (Common Law) sia per la lingua, oltre che per l’impostazione commerciale e finanziaria del paese. I due Paesi continuano a scambiare ad avere anche ottimi rapporti, nei settori della salute, della sicurezza sociale, nella cooperazione finanziaria e nel sostegno reciproco dei diritti umani. Per questo anche Malta Business, insieme ai partner MACTT e Imprese del Sud, segue questo focus ormai da diversi anni.
Ma torniamo al Commonwealth, e diamo uno sguardo a come si sta sviluppando questa storica organizzazione che Londra punta a far diventare una nuova area di libero scambio che ospiterebbe 2,4 miliardi di persone – quasi un terzo della popolazione mondiale – e oltre il 10% del PIL globale.
Ad oggi il Regno Unito ha puntato a concludere singoli accordi con mercati strategici: quello provvisorio di fine 2020 con l’Unione Europea, naturalmente, ma anche un importante trattato commerciale con il Giappone che ha abbattuto gran parte dei dazi sulle esportazioni verso il Paese del Sol Levante, e sancito l’eliminazione di tariffe anche sulle auto giapponesi che arriveranno in Gran Bretagna a partire dal 2026.
Altri accordi sono in fase di trattativa, come quello con gli Stati Uniti, ma appare evidente che lo sforzo negoziale per raggiungere decine e decine di intese con i singoli paesi risulta proibitivo. Per questo si fa strada la soluzione di un’area di libero scambio, che vede appunto nel Commonwealth la prima soluzione.
Insieme però a quelli che sono gli ormai noti punti di forza per il rilancio di questa organizzazione (storia, lingua e tradizioni comuni, nonché i rapporti bilaterali sempre eccellenti), vi sono ancora degli ostacoli da superare.
Anzitutto la distanza geografica tra i Paesi coinvolti, il cui impatto negativo sulla cooperazione economica e gli scambi potrebbe essere ridimensionato da un mondo “post pandemia” nel quale la tecnologia sta abbattendo gli spazi.
Si parla inoltre di un problema di dimensioni: secondo alcuni economisti, il Commonwealth sarebbe un blocco di Stati semplicemente troppo piccolo, in termini economici, per avere importanza: si parla di un PIL combinato di 10,5 trilioni di dollari, che rappresenta quasi il 14% dell’economia globale, ma che è parti a circa la metà del PIL dell’UE. Ma a compensare questa lacuna sono gli andamenti e le prospettive di crescita: negli ultimi quattro decenni, le economie del Commonwealth sono cresciute ad un tasso medio di oltre il quattro per cento, rispetto al 2 per cento dell’UE.
Vi è da considerare anche il tipo di crescita. L’UE sembra avere un’incapacità cronica di produrre “unicorni” tecnologici, ossia aziende startup con un valore di oltre 1 miliardo di dollari. La carenza di grandi startup europee toglie struttura e cultura dell’innovazione al business del vecchio continente, mentre i paesi del Commonwealth, specialmente con il sostegno del Regno Unito, su questo potrebbero preservare e aumentare la loro posizione globale. In prospettiva, dunque, se le barriere transfrontaliere saranno sufficientemente ridotte per permettere al Commonwealth di diventare effettivamente una vera area di libero scambio, il nuovo mercato anglosassone potrebbe superare anche quello degli Stati Uniti o della Cina. A partire da questo la realizzazione del nuovo Commonwealth “commerciale” continua senza sosta, e Malta è pronta ad esercitarvi un ruolo di assoluto rilievo.