Le prospettive per la mobilità di studenti e ricercatori del Regno Unito verso l’Unione Europea sono un argomento tra i più dibattuti del post-Brexit. Ma le attenzioni del mondo accademico britannico sono concentrate anche sulla capacità di scuole e università UK di diventare fornitori di servizi di istruzione negli Stati membri dell’UE.
Qui, l’incertezza persiste. Ciò che è chiaro è che, una volta terminato l’attuale periodo di transizione, gli istituti di istruzione superiore britannici non avranno la stessa libertà di fornire i loro servizi negli Stati membri dell’UE attraverso, ad esempio, operazioni di franchising o la creazione di campus succursali. Per questo diventa necessario preparare le “contromosse”.
In quanto paese terzo non Schengen, il Regno Unito spera di interfacciarci con l’Europa seguendo gli esempi di Canada e al Giappone, che con Bruxelles hanno stretto accordi specifici.
In particolare, la lente di ingrandimento è puntata sull’accordo commerciale CETA tra Unione Europea e Canada, che da una parte include lo scambio di servizi di istruzione superiore e dall’altra pone dei limiti al fine di proteggerne l’integrità. E 14 paesi dell’UE hanno deciso, in tal senso, di prevedere per ogni progetto di formazione una serie di requisiti quali l’autorizzazione di un’autorità competente, l’impiego di soli cittadini UE come accademici, la fornitura di requisiti economici, condizioni di nazionalità per gli organi direttivi e dirigenziali.
Il governo UK potrebbe dunque attrezzarsi cercando un simile accordo con l’Europa e prevedendo le seguenti condizioni:
• Escludere determinate aree disciplinari
• Definire limiti di azione per le joint venture
• Insistere sul rispetto delle normative locali
• Escludere determinate location
• Fissare un limite al numero degli studenti
A marzo l’UE completerà il mandato conferito ai suoi negoziatori per un accordo specifico con il Regno Unito, e prevede di innescare il processo di ratifica entro ottobre. Questi sette mesi, secondo gli esperti, non potranno di certo portare a un accordo globale che copra una vasta gamma di servizi attraverso un trattato complesso come il CETA, che necessita la ratifica non solo di Consiglio e Parlamento UE, ma anche di 35 governi nazionali e regionali.
Con queste basi di partenza, è assai improbabile che l’istruzione superiore figuri in qualche accordo che possa entrare in vigore già nel 2020. Ma il Forum europeo dei servizi insiste sul fatto che il commercio sia direttamente legato a servizi di comunicazione, trasporto, stoccaggio, assicurazione, sanità pubblica, contabilità e diritto. Questi dovranno essere negoziati: quindi perché non la formazione?
I futuri programmi Erasmus + e Horizon Europe rientreranno allora in un accordo commerciale? L’ipotesi è presa in seria considerazione. E su questa un ruolo chiave potrebbe essere ricoperto da Malta, legata saldamente sia all’Unione Europea ma anche al Regno Unito attraverso la presenza nel Commonwealth, l’area delle ex colonie britanniche destinata ad assumere un nuovo ruolo di primaria importanza nello scacchiere delle relazioni internazionali.